Ci sono personaggi ed eventi del passato su cui la Storia sembra aver espresso il suo giudizio definitivo, implacabile e incontrovertibile. La vicenda di Thomas Bruce, settimo conte di Lord Elgin, è tra queste. Passato alla storia per aver asportato i marmi del Partenone di Atene a inizio Ottocento, è stato spesso descritto, anche in tempi recenti, come un "ladro" senza scrupoli, uno "spoliatore" di siti antichi. Un gesto, il suo, che ancora oggi non è stato pienamente compreso e che suscita vive polemiche, alimentate soprattutto dai Greci che vorrebbero indietro le opere d'arte, oggi esposte al British Museum di Londra.
Ma la vicenda di Lord Elgin è molto più complessa e travagliata di quanto semplici frasi possano lasciare intuire.
Nessun uomo, in realtà, fu tanto frainteso nelle sue intenzioni e ingiustamente perseguitato dalle maldicenze degli uomini. Pochi ebbero un destino tanto avverso e segnato dalla sventura.
Chi era dunque Lord Elgin e quali furono le ragioni dietro il suo gesto?
Thomas Bruce, settimo conte di Elgin, era nato nel 1766 e proveniva da una nobile e antica famiglia scozzese, che annoverava tra i suoi antenati persino il leggendario re di Scozia Robert the Bruce.
In seguito alla morte del padre e del fratello maggiore ereditò il titolo del casato a soli cinque anni. Dopo gli studi a Harrow, Westminster e all'Università di St Andrews, intraprese la carriera diplomatica, che si rivelò subito molto rapida e brillante.
La svolta però avvenne nel 1799, quando venne mandato a Costantinopoli (Istanbul) in qualità di ambasciatore del Regno Unito presso l'Impero turco.
Il momento storico era molto delicato : i francesi, guidati da Napoleone Bonaparte, avevano invaso l'Egitto, inimicandosi gli ottomani, loro tradizionali alleati. Il governo inglese sperava quindi , tramite l'ambasceria, di rinsaldare la propria posizione in Oriente.
All'incarico di natura politica, però, Elgin volle aggiungere una missione di carattere storico-artistico.
Nel corso dei suoi studi universitari si era appassionato al mondo antico, aveva letto "Storia della decadenza e caduta dell'Impero romano" di Edward Gibbon, apparsa proprio in quegli anni, e i resoconti dei viaggiatori europei in Grecia.
Prima di partire, aveva avuto modo di discutere approfonditamente con l'amico architetto Thomas Harrison, esponente della nuova stagione neoclassica, e si era consultato con lui circa "i benefici che potrebbero derivare alle arti in questo paese, nel caso in cui si trovasse l'opportunità di studiare in modo accurato l'architettura e la scultura dell'antica Grecia".
L'idea, che gli venne da Harrison e che poi Elgin fece propria, era di mandare una squadra di artisti sull'acropoli per eseguire disegni e calchi dalle opere antiche: in questo modo quei capolavori dell'antichità avrebbero trovato una più ampia diffusione.
Il progetto, però, non ricevette alcun sostegno economico da parte del governo inglese, che si dimostrò poco interessato alla questione. Lord Elgin quindi dovette finanziare l'iniziativa di tasca propria e reclutò una squadra di pittori e scultori, alla cui guida pose Giovanni Battista Lusieri, pittore di corte del Re di Napoli.
Gli artisti raggiunsero Atene nell'estate del 1800, mentre Elgin iniziava a Istanbul il suo mandato di ambasciatore.
Atene, dominata dai turchi, era una città molto diversa da come ce la potremmo immaginare oggi.
L'acropoli era una cittadella militare dove stava accampata la guarnigione turca e per accedervi i viaggiatori europei dovevano pagare una tassa al Disdar Agà, governatore della cittadella.
Quanto al Partenone, per metà era una moschea, e i suoi rilievi giacevano in stato di abbandono.
La missione di Elgin cambiò quando egli stesso si rese conto dello stato di degrado versavano quelle opere antiche. "I turchi avevano continuato a deturpare le teste [delle statue] e avevano tirato giù alcune statue per trasformarle in malta."
Decise di asportare i marmi e trasferirli in Inghilterra, allo scopo di preservarli e fare in modo che tutti potessero ammirarli e studiarli. A questo scopo nel luglio del 1801 ottenne un "firmano", un decreto apposito del Sultano.
La vicenda di trasporto dei marmi fu complessa e richiese ingenti spese, sostenute di tasca propria da Lord Elgin che, al termine del suo mandato di ambasciatore, dovette anche affrontare numerose disgrazie personali, tra cui la prigionia in Francia e il tradimento della moglie Mary (a cui seguì uno scandaloso divorzio).
Giunti in Inghilterra, i marmi delusero in parte le aspettative del pubblico. Inizialmente, sotto l'influenza di Payne Knight, esponente della Society dei Dilettanti che era considerato un esperto in materia di antichità, vennero ritenute copie romane di età Adrianea. Gli artisti, però, compresero l'importanza di quelle opere — a partire dal grande Antonio Canova. I marmi furono allestiti in una casa di Londra trasformata provvisoriamente in un museo, aperto al pubblico.
Oppresso dai debiti, Elgin decise già nel 1810 di vendere i marmi al governo, che però si mostrò poco interessato.
Solo nel 1816 il British Museum si decise ad acquistarli, a un prezzo comunque notevolmente inferiore alle spese che il nobiluomo aveva sostenuto per il trasporto.
Il danno maggiore, tuttavia, gli venne dalla penna diByron, che lo accusò di aver depredato la Grecia in un canto del Childe Harold's Pilgrimage.
Byron si scagliò pesantemente contro Elgin definendolo un "predone", un "devastatore peggiore dei goti e dei turchi" e un uomo "dall'anima di pietra". Più violenta ancora, e decisamente agghiacciante, l'ode "The curse of Minerva" in cui il poeta immagina che la dea greca Minerva (Atena) scagli una maledizione su Elgin e sulla sua discendenza.
Questi violenti attacchi influenzarono la società del tempo, portando altri intellettuali e viaggiatori ad aggiungersi al coro di improperi.
Da quel momento in poi l'opinione pubblica si scagliò contro Elgin e ne perseguitò la memoria, fino ai giorni nostri.
A poco valsero le tardive scuse della Society dei Dilettanti, che nel 1831 propose di eleggerlo membro: Elgin preferì lasciare l'Inghilterra insieme alla famiglia, e si ritirò in Francia, dove morì nel 1841.
Elgin era veramente convinto di rendere un servigio agli studi dell'arte antica e, in effetti, grazie al suo gesto i marmi poterono essere preservati dal degrado in cui versavano e la loro conoscenza si diffuse in Europa.
Elgin non poteva prevedere che la Grecia si sarebbe di lì a poco resa indipendente dal dominio ottomano; ma quando ciò avvenne fu tra i primi (insieme a Byron) a firmare una sottoscrizione per sostenere la causa dell'indipendenza greca.
Una storia tragica, e poco conosciuta nelle sue reali sfaccettature.
C'è da chiedersi a questo punto se a scrivere la Storia, più che i vincitori, non siano i letterati.
A cura di Lavinia Fonzi
Bibliografia
Lord Elgin e i marmi del Partenone, William St Clair
Lord Elgin and his collection
The Elgins, 1766-1917: a tale of aristocrats, proconsuls and their wives, S.G. Checkland
Report from the Select Committee of the House of Commons on the Earl of Elgin's Collection of Sculptured Marbles (1816)
Antonio Canova e la discussione sugli Elgin Marbles, M. Pavan
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